venerdì 9 settembre 2011

The silent world

Le emozioni fresche sono quelle che vengono stese meglio scrivendo un post, ed è per questo motivo che scrivo appunto della mia avventura piu recente, lasciando indietro il post sugli avvenimenti dopo l everest base camp trek(l ultimo post), e promettendomi di scriverlo piu avanti con piu calma, anche se, vista la presenza di un corso di meditazione, sarà un po piu personale e profondo del solito, e mi lascerò la scelta di postarlo o no.

Verso metà agosto un amico francese, Thomas, lasciò quel paradiso della nuova zelanda per trascorrere un paio di mesi in malesia prima di tornare in madre patria.
Con lui avevo trascorso gli ultimi tre mesi della mia avventura neozelandese, quasi 24 ore al giorno insieme, scherzi, cazzate, divertimento e miserie, e avevo proprio voglia di rivederlo.
Ero tornato dal nepal da 3 settimane ed ero un po ossessionato dalla grigia e cementosa calda e umida capitale e mi mancava davvero il mare, non per come lo vede la maggior parte della gente, ma per quello che c è sotto la superficie.
Il mio rapporto col mare è davvero una contraddizzione, ho sempre odiato la spiaggia e soprattutto la sabbia, quando entra tra le dita e gratta, quando il sale ti appiccica i vestiti fondendosi col sudore e l umidità, il caldo… aaaah…
La soluzione è entrare in acqua e restarci il piu a lungo possibile, immergendo le orecchie in modo da isolarsi dal mondo esterno, e davvero ne avevo una gran voglia.
Mi incontrai appunto con Thomas e decidemmo di scappare su una di quelle piccole isolette tranquille dove l unico mezzo di trasporto sono le tue gambe e l unica cosa da fare sono le immersioni, o nuotare in generale.
Carmen era indaffarata con il suo lavoro e purtroppo non poteva aggiungersi a questa vacanza per morti di fame. Tra i nostri obbiettivi era stare sotto i 10 euro al giorno (immersioni escluse) e non sprecare il tempo in camera col computer o al bar a bere come gli inglesi, non vedevo l ora di tornarmene in mezzo alla natura e isolarmi.
La scelta fu nelle isole “perhentian” ma decidiamo di stare solo nella piu piccola, e si dimostrò azzeccatissima.
Era tutto rusticissimo, i “turisti” vanno su quella grande, con molti piu servizi e molti meno topi e scarafaggi, ma anche piu cara. Qui ti mettevano lo zaino a spalle e ti facevano scendere dalla barca diretto nell acqua cristallina quasi in spiaggia, se qualcuno avesse avuto il trolley avrebbe dovuto metterselo sulla testa per non bagnarlo, se ne aveva due… questo posto già mi piaceva.



Troviamo quasi subito un bungalow a 30 metri dal mare a 9 euro a notte con bagno privato(piu cesso che bagno).






Scaricati gli zaini corriamo subito verso la jungla dove c è un sentiero che porta a un villaggio di pescatori e dal quale, un bel saliscendi ti regala un panorama di quanto bella e limpida è l acqua e quanto è densa la foresta tropicale, sempre pronta a riprendere terreno se lasciata a se stessa







già mi sentivo meglio. Ero reduce da 9 ore di bus notturno e una di barca, ma il silenzio della natura mi ridava energia e mi sembrava di poter respirare meglio.
E poi nella jungla almeno si è all ombra da quel sole potente, il caldo e l umidità ti obbligano a camminare lentamente e goderti meglio lo spettacolo intorno.
Dopo una mezz ora di cammino la stanchezza cominciava a farsi sentire, e pure il silenzio non era piu silenzio, ma un concerto di rumori e versi dei vari animali che giravano attorno. Si sentivano prima di tutti quelli pesanti che pestando sulle foglie secche quasi spaventavano, che scappavano dietro un albero o a coprirsi nei cespugli al nostro arrivo facendoci fantasticare su che tipo di mostro tropicale fossero, quelli che volavano sopra le nostre teste, pipistrelli compresi, lucertole giganti come sempre si vedono, strani scoiattoli che si ammazzano di botte sulle palme alte piu di 10 metri




e formiche di vari tipi, colori e dimensioni che ci “attraversavano” la strada, verdi, nere e rosse che siano.

Per non rovinarci tutte le sorprese il primo giorno decidiamo di tornare indietro e di riempirci finalmente lo stomaco.
Feci un giro panoramico dei centri di immersioni per trovare quello giusto, vista la bellezza del “mondo sommerso” da ste parti, c era una bella concorrenza e decisi di pagare un pacchetto di 6 immersioni (13 euro cadauna compreso equipaggiamento) in un centro piccolissimo, dove la gente ti tratta piu come un amico che come un cliente, dove non avevano un orario fisso per le immersioni,e si andava in 3 o 4 persone. Potevo presentarmi, chiedere dove andavano e unirmi.
Praticanmente andavo all ora che volevo, il giorno che volevo, chiedevo delucidazione sui siti e quando non mi immergevo me ne stavo sull amaca a guardarmi il tramonto cazzeggiando con i divemaster a far quattro chiacchiere.



Non vedevo l ora, sapevo che c erano due relitti, una dei quali era japponese di 100m di lunghezza. La prima immersione era al “templio”, una specie di roccia a forma di torre la cui sommità usciva dall acqua un paio di metri, sembrava davvero una colonna messa li apposta, profonda fino a 26 metri e piena di vita marina, pesci scorpione, squali bamboo, tartarughe, razze e tanti, tanti coralli e pesci… questo lo so perché al secondo tentativo di immersione riuscii a visitarla… al primo tentativo il mare era mosso, la corrente superficiale fortissima… il nostro divemaster ci fece saltare insieme e ci fece immergere calandoci lungo la corda che dalla boa portava al fondo e vi assicuro che era dura, sembravamo bandiera che sventolavano attacate ad un palo in un giorno di bufera e i due diver meno esperienziati sembravano a disagio. Una volta arrivati sul fondo la visibilità era brutta e il divemaster ci fece segno di aborto, tornammo in superficie e fui ancora felice della scelta del centro. I centri piu grandi non abortivano mai, erano come una fabbrica, scendevano con 10-12 persone e nuotavano per 45 minuti nel fango senza vedere niente, per poi tornare 3 ore piu tardi con altrettante persone.
Gli utlimi due giorni di agosto coincidevano due feste importanti per la malesia, l Hari raja (ultimo giorno di ramhadan) e la festa nazionale di liberazione (dai parassiti britannici) e l isola era vuota… i dive shop e ristoranti posseduti da malay erano chiusi, per due giorni l isola era un vagabondaggio di occidentali in cerca di cibo e divertimento, la corrente elettrica limitata alle ore serali e l acqua corrente forse un paio d ore al giorno. Certo soffrivamo anche noi, stavamo digiunando involutamente, ma la soddisfazione di vedere gli inglesi, sempre bruciati rossi come aragoste, inkazzati in crisi d astinenza da birra, burger e fish&chips mi ripagava il dolore e la fame.
L isola sembrava ancora piu silenziosa e selvaggia, avevo ancora piu voglia di starmene in mezzo alla natura e decisi prima del tramonto di andarmene a cercare un posto dove potessi starmene per i cavoli miei seduto a guardarmi il sole calare dietro l orizzonte dove guardava a ovest.
L unico posto dove poter camminare era appunto il sentiero di mattonelle sopracitato, dove finiva non lo sapevo ancora, ma non avevo sicuramente scelta, il sottobosco era troppo fitto ovunque per poter pensare di attraversarlo.
Avevo una di quelle musiche lente e camminavo lentamente, senza nessuna meta o appuntamento, i soliti rumori tra i cespugli, le cantilene dei geki, i gridi dei pipistrelli, e dopo 40 minuti di cammino vedo una specie di struttura strana.
Sembrava proprio una specie di resort abbandonato, semidistrutto col tetto in legno pieno di buchi, le scale quasi tutte spezzate, fatto tipo palafitta ma elevato almeno di 3 metri per avere la vista mare dal terrazzo dove prendeva posto un tavolo in legno mangiato dalle termiti.
Nel bel mezzo della mia pace e semimeditazione, i cui passi coperti dalla musica, mi salta fuori un biondo alle spalle e mi fa fare un salto da metro…
Non mi ero accorto di lui e mi ci vollero 3 minuti per tornare con i piedi per terra e rendermi conto che non era un mostro della jungla ma un essere umano, un tedesco per l esattezza.
Era praticamente un “abusivo” ma a chi importa?? La struttura era abbandonata… mi fermai a fare quattro chiacchiere e mi raccontò la sua storia. Aveva 25 anni e girava il mondo da 3. Era partito con 1000 euri e quando era nella merda cercava lavoro, e in un modo o nell altro riusciva sempre a raccimolare qualcosa per andare avanti. Viveva nella sua tenda piena di toppe piantata sul legno marcio del pavimento nell unico punto coperto dal tetto. Gli ultimi soldi li aveva usati per comprare il biglietto della barchetta per l isola. Stava li da tre settimane e aveva trovato un lavoro dapprima come cameriere in un kiosco locale, poi la popolazione dell isola, vedendolo spesso in giro, sempre sorridente, raccogliere rifiuti dalla spiaggia senza che nessuno glie l avesse chiesto gli dava vari lavoretti e qualche soldo. Il cibo e la doccia li aveva gratis al ristorante dove lavorava, lasciava tutti i suoi averi in tenda e quando era libero si faceva gran camminate in giro per l isoletta, essendo gentile e sorridente con tutti.
Non dico che vivrei come lui o che sia un esempio, ma da una parte lo ammiro davvero. Aveva un certo magnetismo quando parlava, era davvero una persona superpositiva, anche quando mi raccontava delle miserie vissute sembrava che i mali del mondo avessero su di lui l effetto che ha l acqua sulle piume d oca. E non era uno di quegli hippy che odiano la società e vanno in giro a bruciar auto e distruggere i mcdonald, sembrava davvero in pace con se stesso e con tutti. Il vero concetto di un cuore e una capanna era li davanti a me, e di certo, un posto piu pacifico di quello, con vista mare e lontano da tutto era quasi da fiaba.
Mi mostrò anche i suoi piedi, uno dei quali con piccole ferite fatte da formiche giganti assassine che se ne escono dalle tane dopo il tramonto e che i loro morsi, oltre a non mollare mai, trapassano la pelle e fanno sanguinare, quello diceva, era il suo grosso problema, a volte dormiva in spiaggia per paura che tornando avrebbe ripestato su di esse.
Mi consigliò di camminare un centinaio di metri piu avanti dove c era qualche mezzo bungalow semidistrutto sull acqua se fossi stato in cerca di un posticino per me e cosi feci.
Sembrava il posto perfetto per una lunga seduta.



durante gli 11 giorni sull isola ci andai spesso, sia al “mio” bungalow che a trovare l amico tedesco e farmi 4 risate sui suoi racconti di viaggio.
E una di quelle tante volte successe. Mancavano forse 500m alla spiaggia e stavo camminando lentamente, con la mia mente persa nella musica e nella calma e i miei occhi che scrutavano il buio che andava a crearsi tra gli alberi e i cespugli… un dolore fitto sotto i piedi… mi venne un flash istantaneo dei racconti delle formiche!!!
Lanciai all istante quello che avevo nelle mani e cominciai a saltare come un canguro cercando di schiacciarle col mio peso e farle smettere di mordere, non potevo vederle ma faceva un male cane e, girandomi, vidi la colonna di esse che attraversava il sentiero. Continuavo a saltare, , sembrava che a ogni salto stringessero di piu e l unico modo di vederle era sedermi ma ero in panico totale e non potevo controllare dove sedermi senza che ce ne fossero altre. Provai a saltellare su una gamba sola tenendo l'altro piede con le mani e vedere un po se riesco a togliermele di dosso. Era una sola sotto il destro ma era grossa, meno di quello che pensavo ma aveva la forza di un orso, la presi dal retro del corpo penzolante e schiacciato dal mio peso, ma si staccò, lasciandone la testa ancora attaccata e mordere… sembrava un film dell orrore. Anche sotto l'altro piede era una sola e dovetti fare le mie per toglierla prendendola dalla testa. La pelle sotto i piedi è abbastanza dura ma i loro arpioni erano penetrati come nel burro e faceva ancora un male cane. Dovevo raccogliere tutto quello che avevo lanciato all ingaggio del nemico, con un controllo meticoloso di non aver imbarcato uno di quei mostri.
Cominciavo ad avere le paranoie, per il tragitto restante sembravo uno che deve dei soldi ad uno strozzino e che sta attento ad ogni passo, ogni angolo, ogni rumore e movimento attorno, potevano essere ovunque ora, tutto d un tratto la natura non mi piaceva piu e il mio andarmene in giro scalzo sapeva tanto da coglione.
E quella fu l ultima volta che andai nella foresta dopo il tramonto.
Lamico thomas si fece delle grasse risate, oltre a chiedermi per quale motivo mi fossi portato 2 paia di ciabatte.

Avevamo due giorni liberi da immersioni, e vista la mia nuova fobia della jungla decidemmo di passarli in acqua, invece che sotto però, a nuotare in superficie e farcela passare.
Nei giorni precedenti avevamo passato qualche serata con uno dei divemaster del divecenter, un ragazzo francese appassionato di immersioni e pesca in apnea.
Ci declassò dicendoci che snorkeling è per “fighette” e dopo un po diventa noioso e ci diede qualche dritta su come migliorare i tempi di apnea in poco tempo per godersela. Ci prestò pure le sue mega pinne in carbonio, lunghissime per scendere piu profondo in poco tempo e per risparmiare ossigeno nuotando sottacqua.
Ci prestò pure le cinture con zavorra e ci intrattenne parlandoci di sensazioni e stati d animo che solo in apnea secondo lui si possono sentire.
Le sue teorie e le sue storie erano davvero coinvolgenti ed interessanti e il giorno seguente partimmo zaino a spalle per l altra parte dell isola, quella disabitata e libera da folle di snorkeler che venivano in barca dall isola piu grande.
Quasi due ore di trekking su un sentiero scavato dall acqua piovana, scalando per poi riscendere la collina a nord dell isola, caldo, caldo e caldo, sudore e sole nucleare sulla testa, per arrivare a una scalinata lunghissima e abbandonata (che porta alla torre telecomunicazioni) ed avere la visione preventivata dall amico apneista






quel giorno la visibilità era pazzesca, l acqua aveva un colore perfetto, non c era spiaggia ma solo scogli pieni di granchi e coperti da coralli e soprattutto, nessuna presenza umana, tutto per noi, almeno cosi credevamo.
Sembrava un vecchio porticello ma l attracco per le barche era crollato in acqua, sembrava nuovo ma era in disuso ed era l unica opera umana in vista.
Trovammo un posto per “lanciarci” fantastico, un canyon col fondo sabbioso e l acqua verde smeraldo che sembrava stesse aspettandoci







questo posto era fantastico sia da fuori che da sotto acqua. Era pieno di vita, pesci, molluschi coralli, stingrays ecc
dopo un oretta di snorkeling decidiamo di cominciare a immergerci e fare qualche foto subacquea. I tempi erano corti ma comincevamo a divertirci davvero molto piu che la semplice nuotata in superficie. Cominciavamo a vedere le cose piu da vicino e abituarci al pensiero che con pinne del genere puoi salire metri in pochi secondi, abituavamo il panico a restare nascosto e a concentrarsi sul muoversi il meno possibile, al non affannare la pinnata e a godersi il silenzio invece di guardare il tempo o cercare la superficie.
Diventò ben presto una droga. Nei due giorni di pausa ramadhan eravamo sempre in acqua. Decisi nei giorni seguenti di fare solo un immersione con bombola al giorno per lasciare abbastanza tempo per quelle in apnea. Dopo 4 giorni i tempi passarono da meno di 20 secondi a un minuto per me e 1 e mezzo per Thomas, con profondità quasi a 14 metri.
Ci alzavamo presto per essere i primi indisturbati in acqua, senza i rumori dei motori delle barche e a volte facevamo la “sessione tramonto” per vedere come il mondo subacquo cambia dopo l imbrunire.

Il quinto giorno sull isola andai finalmente a visitare il relitto japponese (con bombola) che era a 20 minuti di barca da dove stavo. Un tour di 70 minuti all esterno e allinterno di questa nave che giace su un lato a 18 metri, su fondo sabbioso.
Bellissima ed eccitante, qualche squalo, pesci scorpione, due great barracuda (all interno) e come tutti i relitti l adrenalina del “volo libero” nel fluttuare all interno, passando a pelo dalle grandi porte rese pericolose dal metallo corroso e affilato, a volte ricoperto dai coralli, e la stiva piena zeppa di pesci che si aggirano nella semi-oscurità.
Il nostro divemaster, ci portò a visitare la “tasca d aria” all interno, cosa strana e emozionante, a piu di 10 m di profondità, nella stiva, salire fino a dove l aria era rimasta intrappolata durante l affondamento, togliersi maschera e respiratore e poter respirare e parlare come fossimo in superficie, nel buio, e con il metallo corroso a una spanna dalla testa ma il corpo immerso e due barracuda che ci giravano tra le gambe.

Durante un altra immersione in un altro sito (Teluk Karma) visitammo delle piccole caverne, a volte davvero strette dove era impossibile nuotare, e ci si muoveva spingendosi lentamente con le mani per non sbattere troppo sulle pareti.
Squali ne ho visti parecchi, bamboo e black tip, ma sempre di dimensioni ridotte, per fortuna, meno di 2 metri sicuramente.

Mi divertii molto, le immersioni furono davvero belle e pure avventurose, tutte e 6 sopra i 60 minuti, molto piu della media, e dopo di esse mi fermavo sempre al negozio a chattare con i compagni e le guide, le loro amache ne erano anche un buon motivo.
Ma spesso, dopo il debriefing e la compilazione del logbook i discorsi tornavano a ridimensionarsi all apnea.
L atmosfera dell amaca, del mare, il tramonto, l assenza di TV o internet e il fatto di non aver nient altro da fare che parlare ed ascoltare, aiutava un po tutti ad aprirsi di piu e a parlare di topic un po piu profondi.
L ascoltare il francese riguardo alle sue storie di amore con il mare faceva venir voglia di andarci, ma una voglia pazzesca.
Quando si allenava riusciva a andarsene in giro per 2 minuti e mezzo e arrivare a 25 metri di profondità, e quando ci si concentra, ci raccontava, il silenzio totale degli abissi, le gambe che “pinnano” al rallentatore, come tutti i movimenti lo sono, è una fase di estasi diceva, è come la meditazione, ma in un altro mondo, in un'altra dimensione.
Esattamente come si immagina possa essere nello spazio, semibuio, silenzio totale e il tuo corpo che fluttua nel vuoto, che può permettersi ogni movimento a 360 gradi nelle 3 dimensioni con uno sforzo minimo, quasi nullo.
E quando si “vola” sfiorando il fondo in quel limbo l unica cosa che si sente è che non si vuole tornare in superficie e svegliarsi da questo sogno, ma poi il cervello si riaccende e da il segnale, “ciccio, sali o finisce male”.
Come la sveglia al mattino diceva, quando la senti la odi, ma sai che devi alzarti e andare in ufficio…
Beh, gli dicevo io, non è male il tuo ufficio qui!!


vista dal suo ufficio

Dopo un momento di silenzio, passato a cullarsi nell amaca, ci disse :”andiamo a vederci il tramonto dalla piattaforma??”

perché no??

A poche centinaia di metri dalla spiaggia c era una piattaforma semidistrutta (come un po tutto in malesia) galleggiante.
Ci infiliamo pinne, maschera e via.
Era ancora presto e nell attesa andammo a fare un paio di foto e a rompere le palle a un po di pesci pagliaccio, il che era oramai uno sport negli ultimi giorni






per poi verso le 19 salire su questa piattaforma e rilassarci. Il nostro amico tira fuori una di quelle buste impermeabili dal costume, con qualche banconota, una sigaretta e un accendino. Hai capito te!! Bella idea… e la vista cominciava a farsi interessante




Dopo un po ci passa la sigaretta con un bel sorriso e gli occhi già rossi…
ok ok… siamo in malesia, e qui c è la pena di morte (applicata anche ai turisti) per queste cose, ma siamo su una piattaforma in mezzo al mar di cina, vicini ad un isola dove la polizia non esiste e l unica regola applicabile di vita è il “take it easy”

IO: E mo, che si fa?? Tra un po fa buio…
LUI: appunto, andiamo a fare freedive insieme!!!
Cazzo!! Questa è una di quelle cose vietatissime che le mamme diventerebbero verdi e muscolose come hulk e metterebbero in castigo per mesi .. se potessero.. e come tutte le cose che mamma ti vieta da bambino, sai bene che sono una gran figata.

Quando dalla superficie il fondale era scuro, significava che c erano i coralli, perciò ci spostavamo dove la poca luce rimasta si rifletteva sul bianco della sabbia e ci faceva capire che non c erano pericoli di contusione.
Si stava eretti in superficie senza muoversi per qualche minuto a fare grandi respiri, io aspettavo che loro partissero per primi visto che ero quello che aveva l autonomia minore.
Con un movimento lento ci si metteva in verticale a gambe per aria e testa immersa, e si lasciava che il corpo prendesse velocità verso il fondo spinto dal proprio peso, per poi dare lenti colpi di pinne una volta immerse, e scendere fino a 5-6 metri dove si incontrava la sabbia. Prima di colpire il fondo, sempre alla moviola, si cambiava posizione mettendosi in quella del “paracadutista” a braccia aperte per rallentare e poi si nuotava in orizzontale, cercando di lasciarsi ogni pensiero alle spalle, spegnendo quasi il cervello e lasciando le braccia schiacciate sui fianchi, occhi sbarrati a godersi la vista dei pesci che ti guardano curiosi e tutto diventa piu leggero, un brivido ti attraversa, sei nel limbo... e poi..
la sveglia del mattino…

Ci misi molto a capire cosa ci sia di cosi magico. Io adoro fare immersioni con bombola ma questo aveva qualcosa di magico… ovvio dura davvero poco in confronto, ma il silenzio è totale, quando respiro dalla bombola, inalando il rumore della valvola e dell aria attraverso essa è abbastanza forte, ed espellendo la miriade di bolle oltre a scorrere di fronte alla maschera fa un gran chaos oltre che a far scappare i pesci, tutto l equipaggiamento mi fa sentire un po robocop, cavi, tubi,muta, giubetto, pesi ecc limitano un po i movimenti e la libertà, quando sei in apnea è davvero come nello spazio, la sensazione di libertà, il silenzio, i pesci che non scappano, e soprattutto la lentezza dei movimenti e la concentrazione fanno si che anche un minuto sembri durare un eternità, e questa cosa davvero ci ha colpito come un pugno senza preavviso, letteralmente assuefatti.




Dovevo stare una settimana sull isola, ma come già detto, c era una gran coincidenza di feste tutte insieme, come da noi ferragosto, primo maggio e 25 aprile tutti insieme, e dopo le feste le strade erano intasate, i treni e i pulman pieni e non c era modo di muoversi.

Che peccato… ero fregato, dovevo restare sull isola ancora per qualche giorno… sempre in acqua per 11 giorni di bel tempo, persone fantastiche, buon cibo, immersioni, e una capanna sporca e poco usata sulla spiaggia…

che vita di merda ragazzi

A bad day diving is better than a good day in the office

See yaaaa











domenica 14 agosto 2011

Sono ancora vivo

Ho avuto dei problemi con il computer in Nepal, diciamo che si era rotto un componente del mio mac e che di certo in un paese dove si caricano 80kg di merce a spalle perchè non ci sono strade, e dove arano la terra con i buoi era dura trovarlo, di conseguenza il blog è stato in pensione per un po.
Sono successe tante cose, ho fatto altri trek, del rafting, e un corso strano e interessante di cui parlerò nel prossimo post. Intanto la mia idea era di caricare alcuni video che non avevo mai uplodato nel blog e che guardo spesso nei momenti di debolezza per ricaricarmi di energia positiva, belle foto, bei ricordi, tutto qui...


NEPAL





NEW ZEALAND DREAM



mercoledì 8 giugno 2011

Il sogno Himalayano

Il 3 maggio io e Andrea, dopo l arrivederci con i due compagni di viaggio a Dhaka, atteriamo a Kathmandu, capitale del Nepal.
Il volo era stato di poche ore su un grosso aereo della “Biman air” la compagnia bengalese che dava davvero poca fiducia ma che alla fine ci portò a destinazione.
Laereoporto era il piu rustico che avessi mai visto, restai subito colpito dalle dimensioni microscopiche e dai muri in mattoni rossi senza nessun tipo di finitura, i banchetti di legno grezzo degli ufficiali di dogana e il nastro dei bagagli rudimentale in una grande stanza vuota e polverosa dove la poca gente aspettava di ritirare il proprio borsone impolverato.
All aereoporto ci aspettava Carmen da qualche ora, prendiamo subito un taxi che per un euro a testa ci porta in centro.
Prendiamo una stanza, ci rilassiamo un po, doccia e io e Andrea non vediamo l ora di vedere se potevamo trovare un posto dove mangiare qualcosa di sostanzioso e riconoscibile, magari anche buono…
Carmen veniva da casa ed era ancora nutrita bene, ma io e Andrea, dopo 15 giorni di denutrimento forzato, davvero non potevamo pensare a nient altro di un pasto decente e soddisfacente.
Vediamo un insegna scolorita su una vetrina con scritto “Kebab”, era poco convincente, in nepal, ma c era scritto kebab, e ci siamo seduti.
Fu uno dei kebab piu apprezzati della nostra vita, ogni morso ci guardavamo compiaciuti e sorridenti ma con la bocca troppo piena e indaffarata a masticare per scambiarci opinioni.
Decidiamo durante la cena, ottimisti e a pancia piena, di stare qualche giorno, goderci un po di pace e decidere sul da farsi.
La mattina mi svegliai di colpo con una simpatica diarrea, subito maledii il bangladesh e il suo cibo. Sulla via del bagno incontrai il mio compagno di kebab, con la diarrea anche lui…
Carmen non aveva preso quel delizioso e farcitissimo kebab la sera prima, e stava bene. Quel bel panino era proprio troppo buono per essere vero, come una di quelle sirene sugli scogli che ti ammagliano e poi ti affogano…
Speravo fosse passeggera, ma l intensità ci spinse nel pomeriggio a correre in farmacia.
La città era caotica anche qui, l intensità del traffico era minore di altre capitali asiatiche, ma le strade erano strette, piene di buche e polverosissime, tanto che molta gente se ne andava in giro con la mascherina, l intensità e frequenza dei clacson uguale a Dhaka, i motorini ti graffiavano i gomiti fin che provavi a stare vicino ai muri cercando di evitare l umanità che andava nell altro senso.
Insomma, un bel chaos che mi innervosiva vista la voglia di pace che mi ritrovavo. Volevo andarmene in montagna al piu presto possibile e ora mi ero malato.
Volevo andarmene a fare il trek che arriva al campo base dell Everest e sarei arrivato al momento giusto dove le spedizioni partono, in quel lasso di sole 3 settimane all anno dove si aprono casualmente le finestre di bel tempo che permettono di scalare la cima senza vento a 200km/h…
Quando dopo una settimana ero in forma di nuovo si malò Carmen, molto probabilmente per il cibo, ancora.
Questo ritardava di molto i nostri piani e Andrea, visto che il trek era piu di 3 settimane, non avevea il tempo per aspettarci, e parti per il suo, sarebbe uscito dal nepal quando noi eravamo a metà strada, ci saranno sicuramente altri viaggi cazzari e altri incontri in posti insensati in futuro sicuramente.
Passiamo 10 giorni in totale, di agonia, a Kathmandu, chi a turno non era malato, faceva il facchino per l'altro in città a respirarsi smog e polvere e innervosirsi per i clacson.
Kathmandu fa schifo.
Ci prepariamo per il trek, compriamo 30 snack tipo mars e twix e cioccolata, nescaffè, noodle e tutto il cibo leggero che potevamo portarci, fornello, pentolina, mappa topografica, sacco a pelo pesante ecc..
Non ce la facevo piu e una mattina andiamo alla stazione degli autobus pubblici con lo zainone a cercare un bus per Jiri, l inizio del nostro percorso.
I turisti “bianchi” hanno smesso di fare questa parte di trek perché da anni si può volare a Lukla, e poi volare indietro, risparmiare 10 giorni di cammino e rischiare la vita in un atterraggio su questa pericolosa striscietta di asfalto a 3000m che inizia su un precipizio e finisce con un bel muro.
Noi invece da asini siamo appunto andati alla stazione di bus pubblici.. uno schifo…



Una megafila al bigliettaio, nel casino di urla e mani che stringevano banconote che si agitavano presi dei biglietti a caso urlando il nome della destinazione “jirii…jiriii”
Il nostro bus sembrava una grossa scatola di scarpe arruginita con 4 ruote (forse 3) tutto ammaccato e pieno di bambini sul tetto che caricavano pacchi.
Avevamo già la visione del nostro viaggio scomodo sulle nostre facce deluse e impolverate. I nostri zainoni in equilibrio vicino al cambio rotto, da come l autista imprecava cercando di inserire la seconda ogni volta, i sedili abbastanza duri, le sospensioni che sembrava di essere su un tappeto elastico a saltare, e, ovviamente, come ogni bus in asia, era strapieno di umanità che sbraitava e sudava l anima nel caldo umido che comincia a fare da ste parti.
Essendo un bus pubblico si fermava ogni villaggio a scaricare e caricare umanità e mercanzie varie, anche animali, dal tetto saltavano giu bambini e scolari che erano arrivati a casa e ci buttavano su qualche altro pacco, alla fine per fare 180km ci sarebbero volute 12 ore, avevo il primo assaggio del perché in Nepal misurano le distanze in ore e non in km, sia stradali che nei trekking.
La strada era ogni km peggio, le buche profonde non si contavano, una sola corsia perciò all incontro di un altro bus o camion erano un 10 minuti di clacson e manovre suicide su strade sterrate di montagna, anche fino a 2700m.
A volte era cosi brutta che sembrava una pista da motocross con ostacoli, gomme, cubi di paglia e salti






Non serviva chiedersi se un bus cosi si sarebbe rotto perché era garantito al 100%. Piu di una volta si sentiva puzza di frizione bruciata. Una delle tante volte l autista si fermò, sparì imprecando dietro un angolo e dopo qualche minuto tornava con la faccia incazzatissima e un martello da 10kg in mano, dava delle martellate ercolane sul fronte del motore e ripartiva.
Una volta in 5 persone cercavano di riparare qualcosa nel mozzo ruota che non ho capito, non sarei sceso o avrei perso il posto a sedere per sempre.
Un'altra volta entrarono in un paio di meccanici locali e toccarono qualcosa nel motore proprio li vicino che mi arrostiva i polpacci da ore.



Sfiniti dal viaggio e dall assenza di cibo, ancora, scendiamo dopo 12 ore sui sedili, a Jiri, nel buio piu nero di un villaggio dove finiscono le strade fin ora costruite in nepal.. Prendiamo il primo tugurio che ci capita al costo di un euro (50cent a testa) a notte.
Da li in poi niente motori, niente biciclette o motorini, niente clacson, da li, se vuoi andare da qualche parte, ci vai a piedi.
La mattina dopo partiamo impazientissimi e curiosi, felici finalmente di poter camminare pacifici e in silenzio, salutiamo il simpatico lama padrone del tugurio e ci incamminiamo.
La decisione di prendercela con calma senza esagerare era stata presa prima, ci eravamo presi 25 giorni per farla tutta, da come avevamo letto sui forum dove altri l avevano fatta.
Ancora mi incasinava questa cosa delle “ore” invece dei km, sulle mappe e su tutti i vari programmi di marcia e dalle risposte che ti davano i contadini alle nostre richieste.
Mi risposi da solo dopo un paio di giorni… 3 km sulla mappa qui possono essere 20 minuti sul piano o 4 ore su queste montagne… bisogna seguire le tracce o con il sottobosco cespuglioso presente non te la cavi piu, e i nepalesi hanno un motto che dice “la strada piu corta tra due punti è una linea retta” e qui la applicano alla lettera. Se devono andare in un villaggio nell altra valle scalano la montagna dritto sul lato piu ripido e la discendono dritti dall altra parte, un suicidio muscolare e respiratorio, soprattutto a certe altezze, ma loro vivono cosi da generazioni e si sono adattati, noi pretendevamo di fare un mese tutti i giorni cosi senza essere davvero allenati.
Con tutti i ritardi necessari forse mi perdevo le spedizioni, ma il giorno della partenza, il 12 maggio, era l anniversario del giorno in cui, 2 anni esatti fa, mi ero incamminato dal cancello di casa verso la stazione degli autobus del mio paese, pieno di curiosità, entusiasmo e tanta voglia di scoprire quello che c è fuori dalla tanto bella quanto chiusa mentalmente Italia.
Ed era la stessa voglia che avevo in quel momento, la mia promessa di prendermela con calma sembrava già andata in fumo, ero curioso di mangiare e dormire in quelle casette di pietre, freddissime, dove bruciano merda di yak per scaldarsi, di cui avevo letto.
Di vedere quei ghiacciai maestosi e lunghissimi che scendono da massicci di 8000 metri…




Dovevamo spostarci da ovest a est per almeni 7 giorni il che voleva dire attraversare 4 catene montuose, su dalla montagna… giu dalla montagna… via cosi.. fino alla valle da risalire fino al ghiacciaio…
I primi giorni erano duri, gli zaini pesanti e le gambe dovevano abituarsi. Il tempo era sempre incerto ma mai piovoso, quando il sole batteva però faceva un gran caldo e la crema solare ad altissima protezione sembrava bollire sulla pelle.
La gente che c era nei villaggi spesso non parlava inglese e aveva la traduzione nella loro lingua sui menu dove ordinavamo il cibo.
Stranamente era sempre buono ma la cosa si spiegava col fatto che era ovviamente cibo fresco locale, le verdure dall orto (sempre quelle) e le patate dalle piantagioni dei villaggi piu grossi, il latte e formaggio dalla pecora che ci gira intorno, ovviamente, essendo molti buddisti, la carne ce la dimentichiamo. Ammazzare una vacca porta a 2 anni di galera qui.
Riso, patate, tante, in tante salse, e vegetali, 2 o 3 tipi in diverse salse. A volte una specie di panetto locale, tipico indiano, con un po di pomodoro e formaggio di capra chiamato pizza. Questo piu o meno il nostro menu per l intero trek.
A volte si trovavano in vendita birre, coca cola diversi snack e generi alimentari base nei negozieti dei villaggi, ma a prezzi esagerati per il nepal. Ma come ci arrivano qui e perché cosi cari, è una delle sorprese del nepal che piu mi ha colpito. Qui una buona parte della popolazione non istruita fa il lavoro piu facile da avere se non si ha altre possibilità, e che a volte può anche rendere bene. Il “portatore”
Gente disumana che in ciabatte e quattro stracci addosso si carica nel cestino di bamboo sulla schiena, leverato con una corda alla fronte per fare forza, quantità di roba di qualunque tipo pesantissima, da bombole del gas, casse di birra, pannelli di legno, sacchi di cemento per costruzioni, davvero, qualunque cosa, 60, 80 anche 100kg…
A volte camminano per giorni, da dove finisce la strada fino a un villaggio a 7 giorni di distanza, su e giu da questi tracciati a volte insicuri, sdrucciolevoli o semplicemente pietrosi e ripidi, loro piegati in avanti con la testa che tira e le faccie affaticate. Ma tenevano duro e vedeste come ci davano dentro. A volte erano minuti vecchietti, a volte 12 enni senz altre possibilità, a volte appoggiavano il carico al bastone e riposavano qualche minuto prima della salitona, non capivo come davvero facessero, erano penso contro le leggi della fisica… 100kg!!!!














Ne abbiamo incrociati parecchi ogni giorno, che scendevano come capretti tagliando i tornanti sul ripidissimo saltando da una roccia all altra.

Tra un villaggio e l'altro potevamo goderci il panorama mutevole con l altezza, e come cambiava velocemente anche il tempo con l altezza, a volte vedevi i nuvoloni formarsi a valle e il vento li portava lentamente, fin che si ingrossavano e scurivano, verso l alto dove spesso eravamo noi, si trasformava da una fornace a un frigo con ventola accesa e nebbia con visibilità 10 metri







a volte da ponti a cui non vedevi la fine, a metà strada, dovevi tornare indietro perché buoi e yak di certo non li spostavi e non volevi neanche spintonarti con loro





Oltre ai tanti portatori, per le grandi spedizioni si usavano diversi tipi di animali, a volte gruppi numerosissimi di muli, a volte buoi e a volte i famosi “yak”, una razza di buoi che si sono evoluti per vivere a queste altezze, con lana intorno al corpo e 5 volte tanto i globuli rossi dei cugini buoi per protare in giro per il corpo il poco ossigeno presente.
Tante galline, tante capre, spaparanzate all ombra o enormi greggi che ci bloccavano per 20 minuti fermi ad aspettare la fine del loro passaggio.












Per fortuna ci avevano consigliato che quando vedevamo una colonna di animali, soprattutto yak, di schiacciarci sulla parte della traccia a monte, o c era il rischio di essere colpiti da essi e lanciati nel vuoto in qualche precipizio... il pericolo c era davvero






La nostra routine cercavamo di tenerla costante per tutti i giorni. Sveglia alle 5:20 di mattina, colazione con caffè e biscotti, chiudere sacco a peli e preparare lo zaino con partenza tra le 6 o le 6:30 quando il tempo era sempre bello, fino intorno alle 11 dove ci fermavamo a pranzare cucinandoci qualcosa col fornelletto o in qualche “teahouse” locale dove servivano sempre cibo locale a pochi euri. Acqua e sempre acqua, dovevamo purificarla ogni giorno con un agente chimico e a volte ci versavamo qualche polverina al limone o all arancio ma era un lusso riservato per i pochi giorni che sapevamo sarebbe stato faticoso. Purtroppo qui non è la Nuova zelanda, dove i fiumi alla foce erano quasi puri come al ghiacciaio, troppi villaggi, troppi abitanti e i fiumi non erano puliti abbastanza.

Camminavamo dopo pranzo solitamente fino alle 3 del pomeriggio dove solitamente i nuvoloni ci coprivano il cielo e cercavamo riparo, una stanza dove poterci riposare per il pomeriggio e con un po di fortuna, goderci il sole rimasto prima che tramonti dietro le alte montagne in cornice, cercavamo di dormire a valle per goderci le temperature decenti fin che potevamo.
Nelle guest house dei villaggi la vita era davvero rustica. C era solo elettricità generata da microcentrali fatte da mulini generatori nei ruscelli, pochi watt per casa, il bagno se non era lattrina era una turca in un gabbiotto di legno mezzo aperto, cosa pesante quando tira il vento freddo. La doccia era un secchio d acqua fredda, l acqua corrente non c era quasi mai e uscire dalla camera la sera per lavarsi i denti dal secchiello era un trauma. Peggio ancora la mattina per lavarsi la faccia. 5 gradi e il classico sereno gelido dopo la tempesta. Era sempre bagnato perche quasi tutte le notti c erano temporali che scaricavano pioggie potenti per qualche ora per poi schiarire all alba.
Le stanze a volte erano carine, diciamo simpaticamente tipiche, con le porte che non scivolavano mai bene nelle loro cornici, muri di grosse pietre accatastate una sull altra senza cemento e con gli spiferi, a volte rivestiti con i fini pannelli di legno che avevo visto sulla schiena dei portatori.
I bagni in verità nelle case non esistevano proprio.




Un giorno per un errore di calcolo e della mappa, decidiamo di proseguire dopo le tre, pensando di poter trovare qualche camera qualche km piu avanti. Quando chiedevamo ci rispondevano sempre “”Kinja,..Kinja” e per fortuna il tempo non cambiò, ma fu una collezione di 11 ore di marcia, eravamo belli fusi e siamo arrivati verso le 18:30 all ora del tramonto, dove abbiamo subito mangiato e crollati nel sacco a pelo.

Come già detto la sera diventava fresco, non c era ne Tv, ne radio o internet. Conservavamo la batteria dell ipod per le salitone dove serviva un po di supporto morale e vi assicuro che alle 8 di sera non volava piu una mosca. Tutti gli abitanti erano a letto o intorno al forno tipico locale dove cucinavano per godersi l ultimo calore rimasto prima di coricarsi. Noi, vista l assenza totale di qualunque cosa da fare e il buio, cercavamo di leggere con la torcia frontale, ma durava poco, la stanchezza e il tepore del sacco a pelo ti facevano crollare in pochi minuti.
Il giorno dopo dovevamo passare da 1500m salire ad un passu di 3700 e poi riscendere a 1600, tutta in salita costante ripida, ovviamente lo abbiamo diviso in 2 giorni o saremmo davvero morti.
Una volta arrivati a 3500 metri, con noi che non vedevamo l ora di vederci il panorama, si creò il nebbione istantaneo, le nuvole ci coprirono e arrivò un vento freddo.
Il passo di Lamjura, a 3640m, era bello e corredato da bandiere di preghiera ma invece di mettermi una giacca cercai di salire in fretta sperando che dall altro versante fosse meglio, ma era uguale e io mi presi un bel raffreddore.





Siamo poi scesi a 2700 metri ad un villaggio sherpa, il primo vero villaggio buddista tibetano, con totalmente diversi lineamenti, colore di pelle, usi e costumi dei nepalesi hindù.
A jumbesi si trovava infatti un grosso tempio dove per il giorno seguente era prevista la visita di un importantissimo lama, reincarnazione di un maestro avanzatissimo.
Il villaggio brulicava di monaci eccitatissimi e anche tutta la popolaziione lo era, era la prima volta che da turista alieno nessuno mi dava tanto bado.
Era tutto pieno in giro e il giorno seguente abbiamo potuto vedere davvero una bella cerimonia, tutto il villaggio era fermo in piedi in attesa del lama, lungo la “strada” principale, con le mani giunte che reggevano il fazzoletto tipico di benvenuto da mettergli “virtualmente” intorno al collo.
Chi era seduto ai lati teneva una specie di rosario e pregava, si sentiva la campana del tempio suonare ed era pure una bella giornata di sole. L atmosfera mistica davvero contagiava, non c erano distrazioni, era davvero il posto perfetto, silenzioso e naturale dove mi ero sempre immaginato questi monaci potessero veramente meditare in pace.






Cominciavamo a capire perché dicano di prendersela con calma, la salita ti uccideva di fatica e la discesa le dita dei piedi sempre “impuntate” nella scarpa, e le ginocchia. Tratti piani erano forse il 5% della traccia nei primi giorni. E ci mancavano altri 2 passi intorno ai 3000m per arrivare nella valle dove cominciare a salire lentamente a nord seguendola.
In quei momenti pensavo qualche volta a quante notification potevo avere in facebook, a cosa succedeva nel mondo, a una pizza col salamino, a una doccia calda in un bagno chiuso da spiferi, alla sensazione di una redbull ghiacciata che scendeva attraverso la gola in un sol sorso, a tutta la cioccolata e cibo e polverine zuccherose per la noiosa acqua che pesavano negli zaini, ma che avevamo deciso di risparmiare per sopra i 4000m dove ci sarebbero serviti di piu, a quanto mi sarei gustato il primo Mars

Il tempo era pazzo, pazzo davvero, il nostro benestare dipendeva solo dalla presenza o meno del sole, qualunque fosse l altezza. Anche a 3500m col sole c era un gran caldo, senza di esso era sicuramente nebbia e vento freddo.
Qualche volta ci prendavamo una mezza giornata libera, in qualche posto particolarmente bello e panoramico non ripartivamo dopo il pranzo, e ci sedevamo al sole a leggere o semplicemente a osservare intorno.
Con niente da fare o con cui distrarti, era curioso osservarsi bene intorno, vedere come vivono qui in mezzo al niente, senza elettronica ne musica, pieno di animali ovunque, niente recinti, capre, vacche galline in giro per i sentieri e le case, spesso anche le cucine quando c erano. Di conseguenza anche i loro escrementi erano ovunque, quelli di vacca ben schiacciati e messi sulle pietre ad asciugare al sole.
Il contadino che urla al bue il quale tira il vecchio aratro e che ci saluta sorridente,




i giovani che spaccano le pietre con martelli giganti, quelli seduti intorno che le scalpellano per farle quadrate e gli altri che salgono direttamente con i muri



Qui farsi una casa era semplice come dirlo, anche grazie ai portatori che portano sulle spalle le lastre ondulate di metallo per fare i tetti che vedete nella foto sopra, le case vecchie (di qualche anno) i tetti li hanno di pietre… un piccolo terremoto o cedimento e le famiglie spariscono



Una volta superati il taksindo pass e il kari-la pass, entrambi intorno ai 3000, erano passati 9 giorni e finalmente potevamo continuare a risalire la stessa valle, seguendo il fiume Dhadikoshi Nadi, poi uno dei suoi affluenti fino al ghiacciaio dove nasceva… in una settimana di cammino!!
La cosa mi diventa molto piu facile con un fotoblog






Tra merda di yak, capre, vacche e cavalli, con la pioggia notturna si impaltanava tutto bene fino a farti sprofondare per qualche centimetro... nella merda... le foto purtroppo no





Una grossa ruota di preghiere con le frecce che indicano a noi occidentali il verso in cui girarla e di passare a sinistra (senso orario) di essa per evitare di sbagliare e attirarsi la malasorte


Una grossa roccia scolpita di preghiere




Le ruote di preghiera viste da vicino all interno dell arco di entrata di un villaggio buddista



Il ponte vecchio e quello nuovo, a voi la scelta
Una parte panoramica della traccia
La porta con le ruote di preghiera da girare in senso orario per la buona fortuna


Takhsindo pass, 3040m




namche bazar (3440) il villaggio piu grosso di tutto il trekking, dove dopo 12 giorni di cammino abbiamo finalmente trovato la doccia calda e qualche sfizio culinario, perfino un tubo di pringles!!!







Il forno tipico in ogni cucina sherpa, questo nuovissimo ma non sognate, spesso molto piu decrepiti e sporchi. E in altezza se il legno non c è usano la merda di vacca


Una farfallona grossa come una mano che non potevo fare a meno di fotografare


Una altra vista dal templio di Tengboche






Puntanto la vetta dell Everest, il nostro primo avvistamento dopo l ennesimo passo e aver cambiato versante della montagna dove salivamo





Un altro stupa e preghiere in mezzo al nulla durante il trek


Una delle tante salite per un passo a circa 3200m, particolarmente bello e fresco senza vento, pieno di capre che cazzeggiano e che ci guardano curiose

Una porta di passo con le solite ruote di preghiera che giravamo sempre per una buona fortuna nel nostro "journey"
Jiri-Everest b.c. trek

Una delle camerette, questa bella, sul Karila pass a 3100m con vista pazzesca durante il caffè mattutino ancora nel caldo sacco a pelo




un simpatico sviluppo delle corna di questo bue


Qui si vede bene la tecnica costruttiva... assemblano i serramenti e ci costruiscono l "edificio" intorno usandoli come "serramenti portanti", niente fondamenta, il cemento fatto con un terriccio locale (spesso senza) e le pietre fatte diventare "parallelepipedi" scalpellandole a mano una per una (a volte lasciate semigrezze e fatte combaciare con la tecnica tetris). ovviamente i serramenti resteranno gli stessi per sempre, un futuro "aggiornamento" o ammodernamento è impossibile se non demolendo il tutto.




Un ristorante per trekker occidentali in fase di costruzione avanzata, in una settimana sarebbe stato quasi ultimato a parte il tetto... incredibili lavoratori i nepalesi spaccapietre, altrettanto duri come i portatori (probabilmente fanno entrambi i lavori)







Vista delle montagne innevate dal Templio di Temboche (3900m), sicuramente il villaggio buddista tibetano piu bello che abbiamo visto


zoom sulla vista da Temboche


Vista da Temboche con l everest (8848), Lothse (8516) e Lothse shar ben visibili grazie all aurea di neve ventata intorno alle vette. A destra, semicoperto dal sole è l Ama Dablam (6848), una vetta alpinistica molto piu dura dell Everest da raggiungere


Dusa, un villaggio di tre case, letteralmente tre!! Con i pascoli per gli animali chiusi da recinti di pietre accatastate l una su l altra invece del filo spinato... tutta la traccia per kilometri era di pendenza leggera e costante tra i 4100 e i 4600m, con solo qualche roccia qua e là, con panorama da urlo e terreno facile, se fosse innevato sarebbe la miglior discesa in snowboard mai vista, lunghissima e senza pericolo valanghe.. ho davvero sognato ad occhi aperti... peccato che per arrivarci bisognerebbe camminare per 10 giorni!!



Un gruppo di Yak appena dopo il Tokla pass a 4910m, uno dei tantissimi gruppi incontrati nel senso opposto (scendevano) che riportavano indietro tutta l atrezzatura usata dalle spedizioni appena finite per la vetta dell Everest. Davvero tanta, tanta roba, tra l atrezzatura personale degli scalatori e di gruppo per i vari “Camp” durante l ascesa. In effetti, informandomi con le persone incontrate durante il trek, ogni pomeriggio gli sherpa, che arrivavano sempre prima dei poveri distrutti e affannati “bianchi”, montavano tende, tendoni, tenda “toilet” e cucina, e preparavano i loro pasti… portavano a spalle anche le loro pesanti bottiglie metalliche per l ossigeno e le scale d alluminio per fargli superare i crepacci… hai capito che lusso anche a 8000m?? ogni persona della spedizione pagava tra i 40 mila e i 65 mila dollari americani, dipendentemente dai confort e dalla compagnia scelta. La spedizione mista indiani-americani con cui ho parlato era fatta di 16 scalatori e 45 portatori sherpa!!!!! Dopo il campo base (5400m) doveva essere tutto portato da loro per l impossibilità degli yak di superare gli ostacoli del ghiacciaio.. come dicono e criticano oramai tutti i migliori scalatori mondiali, oramai l Everest è diventato un triste businnes fatto a discapito dell inquinamento ad alta quota prodotto dalle tantissime spedizioni, e tanta gente esaltata e inesperta ci muore, e ci lasciano la vita anche tanti sherpa attirati dagli alti guadagni.





Vicinissimi all inizio del ghiacciaio. Il paesaggio era desertico e polveroso, neanche un albero o pianta, niente piu uccelli o farfalle colorate, tanto silenzio. Il sole scottava davvero, quando però veniva coperto dalle nuvole bisognava vestirsi in fretta per non farsi congelare dalle brezze che scendevano a valle.


L ultimo passo del trekking, il passo di Lobuche (5140) che maledetto anche lui era ripido e dal terreno difficile, sassoso e polveroso dove ogni passo sembrava una maratona e alzare la gamba per metterla sul prossimo sasso, per poi con essa spingere in alto il peso del proprio corpo piu i 20kg di zaino ti faceva imprecare, e guardare in su e vedere quel passo, cosi vicino ma cosi sempre alla stessa distanza a volte logorante... e sti animali giganti che volevano sempre passare dove ri tu e che di sicuro non ti lasciavano strada, facendoti sempre mettere in posizioni da equilibrista senza equilibrio per evitarli non addolcivano la situazione. Carmen, 45 kili di donna con almeno 12 di zaino sempre davanti, mai un lamento, mai giu di morale, i miei complimenti.






Dopo il Lobuche pass, intorno ai 5100m, contenti ma sfatti, camminando lentamente in fianco al ghiacciaio nascosto da sassi e polvere sulla nostra destra, sulla via per arrivare a Gorak Shep, l ultimo villaggio dove poter dormire in una "stanza". Fermarsi ogni 20 minuti di cammino per prendere respiri lenti e profindi che facevano bene ai polmoni, ma anche al cuore con spettacolari viste a 360 gradi di un panorama inedito ai nostri occhi







Nel rifugio di Gorak Shep (5160m) dopo il tramonto diventava davvero freddissimo e vista l assenza di alberi o qualunque tipo di legno da bruciare per scaldare (solo la sala dove si mangiava) bruciavano in una piccola stufa (dove cucinavano e bollivano l acqua) la merda di Yak, schiacciata ed asciugata al sole. Era da tanto che mi chiedevo perchè la gente raccogliesse queste merde giganti, le schiacciasse e le mettesse sui muretti al sole ad asciugare... ovviamente con le mani con cui le lanciavano sul fuoco poi cucinavano il nostro cibo, e mica si lavavano le mani prima, l acqua era un bene prezioso ed era portata nelle taniche sulla schiena dei Porter, non da sprecare ogni 5 minuti!!! L energia elettrica veniva da accumulatori caricati da pannelli solari e anche quella preziosa e da risparmiare. Anch io avevo il mio pannello solare da zaino per caricare le batterie del Gps e ogni tanto l ipod visto che non c era possibilità di caricarli in altro modo, per fortuna avevamo 2 macchine fotografiche visto che in un trekking di 22 giorni saremmo rimasti senza batteria e di conseguenza senza foto!!!!







Uno dei tanti laghetti glaciali sulla via del campo base, oramai sopra i 5200m, quell acqua faceva venire i brividi solo a guardarla, in quelli piu grandi si sentivano i rumori del ghiaccio che col caldo dell estate si crepava, e con un po di fortuna e pazienza, a volte si staccavano grosse porzioni sui lati e cadevano appunto nel lago facendo un gran frastuono. Con il silenzio che c era il rumore era impressionante, e le dimensioni dei pezzi di ghiaccio e gli spruzzi derivanti dalla caduta li rendeva eventi spettacolari





Finalmente, dopo due ore e mezza da Gorak Shep camminando in fianco al ghiacciaio su un terreno duro di sassi, e ghiaccio affiorante arrivo al campo base da dove partono le spedizioni per la vetta. Erano ancora rimaste due spedizioni anche se la stagione era chiusa, sperando per loro che qualche finestra di bel tempo si fosse aperta.


Salendo fin dove potevo senza ramponi mi sono gustato la bellezza dell interno del ghiacciaio fatto di piccoli crepacci attraversati da ruscelli estivi che lo scavavano e facevano prendere ad esso queste forme artistiche. Poi ha cominciato a nevicare a piccoli fiocchi che si scioglievano appena toccavano terra. Ho dovuto sedermi e gustarmi il momento perfetto, nessun pensiero, nessuna preoccupazione, respiravo piano l aria fina in mezzo al ghiaccio, a gustarmi la neve che scende, e ho mandato tutto il mondo a fanculo!!!






Il punto piu alto raggiunto nel mio trek per vedermi il ghiacciaio del PumoRi (7145m) dietro a Kala patthar


La mia vista preferita anche se in foto rende meno di altre, il Khumbu glacier che scende dalla valle a "U" dove si trova anche l everest, fa una curva di 90° e viene verso di me per poi proseguire per chilometri... da togliere il fiato





Ma guarda un po chi è l unica persona che ho incontrato sulla vetta del Kala Patthar a quasi 5600m... un signore sui 50-55 anni, anche lui un po "fumato" che sparava cazzate parlando scoordinato e col fiato corto, e di dov era?? Del Bangladesh!!!! Era li da una buona mezz ora che cercava di riposare per la discesa, accorgendosi che cmq a stare li non ci si riposava molto, anche a stare tranquilli seduti era come privare il cervello dell ossigeno di cui abbisogna visto che entrambi non eravamo acclimatati bene ancora e venivamo la mattina da 4900m...


Una bella foto della vetta dell Everest con uno simpatico cappello


Euforia dopo aver lasciato gli zainoni a Gorak Shep per la scalata alla vetta di Kala Phattar (5550m) dove la vista sarebbe stata davvero 360°. Ma già questa a metà strada era pazzesca con la vista totale del kilometrico ghiacciaio principale e dei suoi "affluenti" belli bianchi e puliti e il tempo straordinariamente limpido.
La salita era ripida e a quell altezza cercare di andare veloce per evitare i nuvoloni del pomeriggio mi fece rendere conto di quanto poco ossigeno c era da respirare. Quando mi fermavo a riprendere fiato (spesso) mi accorgevo che il mio battito non decellerava in fretta come al solito e il fiatone necessitava di qualche minuto per passare, la cosa piu divertente è che mi rendevo conto di non essere lucido, un po in panico senza ragioni, piu o meno la sensazione di esseresi fatti una canna.










La strada del ritorno, ancora fortunatissimi col tempo, vista la bassa stagione e il teorico monsone che non abbiamo avuto



Il ritorno in un bel traversone finalmente, queste linee di su e giù cominciavano a togliermi la voglia di vivere.




Ecco qui una piccola parte dei rifiuti prodotti da una sola spedizione sull Everest. Una buona parte dei sacchi erano pieni di bombole d ossigeno (li ho palpati tutti, curioso com ero) che la polizia dell aeroporto ci vietò di fotografare :)
Questa roba se non fosse per gli svedesi che pagano delle compagnie di sherpa e yak che fanno su e giu (non alla vetta) con questi sacconi (ho visto almeno6 o 7 spedizioni come questa) a portare giu la spazzatura l Everest sarebbe una discarica. Già anni fa ci furono molte critiche da parte di associazioni di alpinisti ai nepalesi e agenzie locali che usavano la montagna come fonte di guadagno senza prendersene cura e lasciando per strada un sacco di spazzatura e bombole d ossigeno per strada abbandonate.
Ma la vedete quanta roba è??? tutta spazzatura!!!! Vi immaginate 7 volte (forse piu) tutta sta roba ogni anno???





Dal base camp, al ritorno, dopo 5 giorni di cammino su quasi la stessa strada dell andata decidiamo di prendere l aereo dopo una deviazione per luckla (2900m) dove non eravamo ancora stati e dove c era una striscia asfaltata per l atterraggio, e dove solitamente i turisti occidentali iniziano e finiscono il trekking che da qui al campo base dell everest durerebbe solo 12 giorni (15 con calma) e che ci avrebbe risparmiato 10 giorni su e giu sulla strada già fatta.
Oltre a questo risparmio era eccitante la possibilità di volare con questi piccoli aerei da 15 posti in questo famosissimo "aeroporto", se cosi si può chiamare, a 3000m che comincia con un muro e finisce su un bel precipizio che non lascia ai piloti la possibilità di sbagliare un centimetro, sia in decollo che in atterraggio, e che faceva cacare addosso i passeggeri.
In effetti una volta vista la pista ci siamo resi conto di cosa si parlava....



Il giorno dopo ci presentammo al check in alle 7:30 per il volo delle 8:30.... nebbia paurosa e tempo brutto... i voli in ritardissimo, con l unica specificazione dell orario "quando si schiarisce"!!! va bene cosi, con quella nebbia era un suicidio atterrare e dopo 6 ore in aeroporto a curiosare su tutto il casino di equipaggiamento e spazzatura accatastati a caso all interno, facendo inkazzare i militari che ci mandavano via, il nostro aereo arrivò... era piu piccolo del normale 15 posti e altra gente avrebbe dovuto aspettare il prossimo... lo chiamavano "taxi dei cieli" ed era solo 5 posti piu pilota e copilota.... prendere o lasciare!!!








Volo superpanoramico ea bassa quota con gli spifferi d aria che mi rinfrescavano la faccia, un po spaventoso e insicuro, nessuno dei 5 presenti disse una parola, tutti abbastanza tesi, ma dopo un oretta atterrammo sani e salvi in quell inferno caldo e umido e inquinatissimo di Kathmandu.

Che altro dire, piu che un trekking è stata una missione, un challenge col nostro corpo, gambe, schiena e la nostra mente, tutto il tempo. Ma ce l abbiamo messa tutta e ne è valsa la pena alla grande. Grazie della pazienza per leggere questo poema, ma anche volendo fare un riassunto è stata lunga....
a di certo non l ultima..... con sto caldo non vedo l ora di tornare tra le montagne innevate e congelate, ognuno è fatto a modo suo, ma io in quei posti mi sento bene, vivo, e mi riempio davvero di felicità...
byeeeeeee